XVIII DOMENICA (C)
E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v.15).
Riflessione:
La pericope Lucana di questa Domenica è collocata al capitolo 12 e non ha alcun parallelo negli altri Vangeli. Il racconto prende avvio dalla domanda di un uomo tra la folla che si rivolge a Gesù come un Rabbi, chiedendogli di farsi giudice rispetto a una questione di eredità: “Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità”(v.13).
La Torah prevedeva che alla morte dei genitori per non disperdere il patrimonio familiare, i due terzi dell’eredità andassero al primogenito che si assumeva l’obbligo la mantenere la vedova e le sorelle nubili: “Riconoscerà invece come primogenito il figlio dell’odiata, dandogli il doppio di quello che possiede, poiché costui è la primizia del suo vigore e a lui appartiene il diritto di primogenitura”(Dt 21,17).
Gesù non si fa coinvolgere da tale richiesta perchè la domanda che gli è stata posta e legata a dei criteri che non può accettare. La risposta di Gesù chiarisce a tutti che egli non segue i criteri di giustizia propri degli uomini, che conducono inevitabilmente alle divisioni e alle lotte, ma che è venuto a predicare la giustizia di Dio, capace di unire a superare le divisioni.
L’eredità è qualcosa che riceviamo alla morte di qualcuno. Volere l'eredità è guardare alla morte e non alla vita. Riusciamo a guardare alla vita se non ci lasciamo sommergere dalle cose che accumuliamo, ma guardiamo con stupore e libertà a ciò che abbiamo, a ciò che riceviamo e condividiamo con gli altri, l’abbondanza dei frutti invece di rinchiuderli in magazzini. Quello che abbiamo allora alimenterà il nostro desiderio di vita. La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha. Le domande sono queste: In quale parte della mia vita mi scopro capace di gioire anche per piccole cose? In che modo, durante la mia giornata riesco a ringraziare per ciò che ricevo? Quali delle cose che possiedo mi lasciano libero e mi danno gioia invece di appesantirmi? Dobbiamo chiederci: a chi appartengono i beni di questa terra? Per i credenti tutto appartiene a Dio che lo dona in eredità a tutti gli uomini. Da qui il richiamo di Cristo: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v.15). Ricordate che la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha.
La vera radice del problema è la pulsione all’accumulo che è legata alla paura della morte. La paura della morte ci porta ad accumulare beni su beni, nella convinzione di conseguire in questo modo il pieno controllo sulla nostra vita e sul futuro. Tutto questo viene messo in questione dal “rischio della cupidigia”. La logica della cupidigia è rappresentata dall’uomo forte della parabola che sa cosa fare, che ha stabilito con la ragione il suo futuro. Lui si sente padrone della vita e del suo senso.... ma, si trova del tutto impreparato, debole di fronte all’unica cosa certa della vita: la sua fine. Le domande sono: da cosa fai dipende la tua vita? Con quale atteggiamento ti poni nei confronti di ciò che sei e di ciò che hai?
Cristo invece ci insegna che l’unico modo per conservare la nostra vita è quella di donarla agli altri nell’amore. La vita non dipende dai beni che si possiedono e stolti sono gli uomini che accumulano ricchezze sulla terra affidando a queste la speranza della felicità e della pace. Il senso religioso è motivo di vera pace perché chi cerca Dio non idolatra se stesso e i propri beni; piuttosto afferma un Tutto capace di valorizzare il fratello, ogni uomo. Ricordate che la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha.