Domenica della V settimana di Quaresima | Lectio di p. Silvano Nicoletto




Ez.37, 12-14
Rm. 8, 8-11
Gv. 11, 1-45





        Dicevano i filosofi stoici, il cui ideale di vita consisteva nel raggiungere l’imperturbabilità oltre le paure e le emozioni, che si può vivere tranquillamente senza temere la morte perché “quando tu ci sei, la morte non c’è e, quando c’è la morte, tu non ci sei”. È un pensiero che non fa una grinza. 
In realtà, se fosse così semplice!… Sta di fatto che essa, la morte, è ben di più della non presenza di vita. E d’altra parte, la vita è ben di più dell’insieme di processi biomolecolari delle cellule. 
Se penso che sulla realtà del morire si fondano, per esempio, gran parte delle strategie politiche ed economiche: dal terrorismo  alla guerra, dagli apparati militari all’industria bellica, dallo sfruttamento della terra alla drammatica realtà della fame, dallo sfruttamento dei minori alla schiavitù della prostituzione, … morte è anche quando l’interesse o ragion di stato vengono anteposti al bene delle persone, soprattutto dei più deboli. Morte è anche quando nella vita di coppia l’amore viene sostituito dal veleno amaro del tradimento o del rifiuto. Morte è anche ridurre a mercato le attività umane e i diritti della gente (non per formalizzarci sulle parole, ma fa certo impressione sentir parlare di “mercato del lavoro”, oppure di “azienda sanitaria” o “azienda scuola”…). Morte è anche dissoluzione delle relazioni, degli affetti, della fiducia nel prossimo, del rispetto per il vivente, della solidarietà, dell'amicizia ecc. Quando cominciamo a considerare questi aspetti, comprendiamo che il morire rappresenta la drammatica possibilità che la realizzazione del bene, dell’amore, dell’intelligenza, della dignità e della giustizia… venga come inghiottita nella voragine del Nulla. E tu vedi che l’umanità che è in te stesso, in chi ti vive accanto e in tutti gli altri non si eleva mai, anzi, sembra cadere sempre più in basso.
Questo è il morire che emana fetore; che mette paura e senso di impotenza. Allora, la questione è quale vita ci dona il Signore comunicandoci il suo Spirito. Questa è la difficoltà presente in tutti i soggetti di questo racconto evangelico: il non comprendere la qualità della vita che ci comunica il Signore. Le reazioni sono le più diverse. 



  • I discepoli prendono a pretesto tutte le situazioni per non andare verso Gerusalemme per non rischiare:“se dorme si sveglierà”… perché rischiare? 
  • Marta cerca di affrontare anche lei il problema ma con risposte che sanno di catechismo, imparate da altri: “so che risusciterà nell’ultimo giorno” intanto rimane sotteso il rimprovero verso Gesù perché non c’era proprio nel momento in cui serviva la sua presenza.
  • Maria rimane nel pianto e non sa andare oltre le espressioni di cordoglio manifestategli anche dai giudei.

        Insomma, qui l’esperienza della morte come minaccia della vita è colta in tutta la sua drammaticità. 
        Gesù entra in queste situazioni chiuse, senza speranza, cariche di aspetti impossibili. La pietra che chiude il sepolcro è l’espressione plastica di questa impossibilità. Egli vi entra piangendo, ossia condividendo la drammaticità del nostro soffrire e morire, e della nostra sfiducia radicale. Ma egli vi entra ponendosi dentro l’orizzonte di Dio. E quando ci si pone dentro questa prospettiva di fiducia si comincia a vedere che le situazioni non sono poi così bloccate come pensavamo. Voglio dire che, di fronte alle situazioni di morte che sembrano essere vincenti, è invece possibile percorrere cammini diversi, alternativi. 
Il grido di Gesù “Lazzaro vieni fuori” risuona oggi nella nostra vita tutte le volte che ci troviamo in situazioni in cui la morte si affaccia minacciosa e che, prima di annientarci, ci fa morire nella speranza per la forza della paura. Questa morte in realtà è forte delle nostre paure, della nostra sfiducia nel credere che siano possibili percorsi altri.
Concludiamo questa riflessione con l’icona di Lazzaro. Egli esce dal sepolcro con i segni della morte (è ancora avvolto in bende) eppure ora è vivo e viene e la comunità è invitata a scioglierlo per lasciarlo andare nella libertà. Questa attività di sciogliere Lazzaro dalle bende è l’invito che il Signore rivolge ai discepoli e alle discepole di sciogliere le paure.
Qual è il motivo che ci fa credere che sia possibile percorrere cammini che non temono le potenze mortifere? Il motivo è semplice: Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Gesù vuole molto bene alla comunità dei discepoli e delle discepole. Gesù ci vuole molto bene. Gesù vuole molto bene all'umanità Dobbiamo imparare a valutare i nostri problemi e le nostre difficoltà di fronte alla vita proprio a partire da questa certezza: Gesù ci sta volendo molto bene.  

p. Silvano Nicoletto