Timidi pensieri per comprendere la Passione di Gesù

Cari amici e amiche, vi propongo alcuni pensieri di meditazione intorno al quarto carme del Servo di Jhwh per comprendere meglio i racconti di passione che ascoltiamo in questi giorni.

Come vedremo, questa figura profetica del Servo di Jhwh ha ispirato il cammino e la coscienza di Gesù di Nazareth, in lui Gesù si è riconosciuto. I vangeli, che non sono racconti di cronaca ma testi di annuncio su Gesù Cristo, narrando la sua passione, hanno organizzato il materiale narrativo a loro disposizione prendendo come modello e schema interpretativo i testi che parlano del Servo e che troviamo nel libro di Isaia.

Non dimentichiamo che, sia l'autore dei testi veterotestamentari del Servo come i vangeli, fanno ricorso a loro volta a un genere letterario, cioè a un modo di dire, che deriva dal culto del tempio, specialmente dalla ritualità dello Yom Kippur, il giorno del perdono dei peccati. Non mi dilungo ad approfondire questo aspetto, peraltro molto importante, posso suggerire eventualmente la lettura di Levitico capitolo 16. È evidente che nel linguaggio rituale è presente il linguaggio sacrificale, linguaggio che disturba la nostra sensibilità e che, se preso alla lettera, rischia di immettere in noi la percezione di un dio cattivo, capace di perdonare solo a caro prezzo. Questo vale soprattutto quando si parla di espiazione e di sangue versato in remissione dei peccati. Frasi del genere possiamo trovarle nei vangeli e nel Nuovo Testamento applicate alla passione di Gesù. Teniamo presente che molto spesso i vangeli mutuano linguaggio e immagini dal mondo cultuale e sacrificale della liturgia del tempio, ma in realtà le svuotano del loro significato rituale per sostituirlo con quello esistenziale di Gesù.

Is. 52,13 – 53,1-12 Quarto canto del Servo


Ecco, il mio servo trionferà: s’innalzerà, diventerà grande e si eleverà molto.
Come le folle inorridirono per causa sua, poiché il suo aspetto nulla più aveva di umano, né la sua bellezza di figlio di Adamo, così si meraviglieranno grandi nazioni, e dei re si chiuderanno la bocca, quando avranno visto una cosa inedita, osservato una cosa inaudita.
Chi avrebbe creduto a ciò che abbiamo appreso, e a chi è stato rivelato il braccio di Jhwh?
È spuntato come un germoglio davanti a lui, come una radice in terra arida, senza bellezza né splendore che noi potessimo vedere, senza apparenza che ce lo rendesse desiderabile, disprezzato e reietto dagli uomini, uomo del dolore e parente della malattia, simile a colui davanti al quale ci si vela la faccia, disprezzato e non stimato da noi.
Eppure, sono le nostre malattie quelle che ha portato, i nostri dolori quelli che si è addossato.
E noi lo consideravamo punito, percosso da Dio e umiliato.
Ma egli era trafitto per le nostre iniquità, schiacciato a causa delle nostre colpe:
su di lui, il castigo per la nostra pace; per noi, la guarigione, grazie alle sue piaghe!
Noi tutti eravamo erranti come pecore, ognuno di noi seguiva il proprio sentiero, e Jhwh ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, egli si è umiliato, e non apriva bocca, come un agnello condotto al macello, una pecora muta davanti ai tosatori.
Fu eliminato con oppressione e ingiusta sentenza, e chi si affliggeva della sua sorte, quando fu tolto dalla terra dei viventi, punito per l’iniquità del suo popolo?
Il suo sepolcro fu posto fra quello dei miscredenti, il suo tumulo con quello del ricco, sebbene non avesse commesso violenza, né vi fosse inganno sulla sua bocca.
E Jhwh ha voluto annientarlo ed egli l’ha trafitto(…) se offrirà di persona un’espiazione, vedrà una discendenza: vivrà per lunghi giorni e la volontà di Jhwh si compirà per mezzo suo.
A causa del suo intimo tormento vedrà la luce, si sazierà della sua conoscenza.
Il giusto mio servo giustificherà le folle e si addosserà le loro colpe. Perciò gli darò le moltitudini come sua parte di eredità, spartirà il bottino con i potenti perché ha consegnato se stesso alla morte fu annoverato tra i criminali, mentre portò il peccato delle folle intercedeva per i criminali.

***

Prima di tutto, è necessario dare ascolto alle nostre reazioni interne: sconcerto, cordoglio, protesta, ammirazione, amore… Esse sono gli elementi attuali che ci mettono in contatto con questo racconto. Tuttavia, nel realizzare quest’esercizio di consapevolezza, sarà opportuno liberarsi da facili precomprensioni che non ci consentono di entrare nel dramma. Una di queste potrebbe essere l’identificazione del testo come una sorta di predizione della sofferenza di Gesù. È vero invece il processo inverso, ossia Gesù ha condotto la propria esperienza di vita su questo modello del Servo e quindi i vangeli hanno applicato a lui il contenuto dell'esperienza e della figura del Servo. In qualche modo, si tratta di un'esperienza che lo ha anticipato.

È un carme drammatico – poetico che, come altri testi, dà voce alle intuizioni che affiorano alla coscienza d'Israele finalizzate a consolare il popolo in momenti di difficoltà.

Questa riflessione, profetica e poetica insieme, è il frutto di una particolare sensibilità alla sofferenza perché, in qualche misura la si è provata sulla propria pelle. L'intuizione che la coscienza profetica mette in luce con questo oracolo è che il soffrire, contrariamente a quanto si è portati a credere, non appartiene alla storia dei fallimenti; alla serie degli incidenti di percorso e nemmeno al castigo per il peccato, ma entra a pieno titolo in un percorso che viene chiamato ed è “Storia di Salvezza”. Non si tratta del dolorismo come ricerca del dolore fine a se stesso o come strumento per guadagnare “meriti” davanti a una piccolo dio capriccioso o scontroso che gode della sofferenza umana. Si tratta invece di riconoscere che, se l'umanità diventa più umana, non lo deve ai grandi che gestiscono con successo il potere, ma a tutti quei piccoli e poveri che nella loro carne portano il faticoso del mondo. In altre parole, potremmo dire che la figura del Servo rappresenta il passaggio spirituale, sociale e culturale dal successo dell'ego alla via della solidarietà.   

Il presente “Canto”è preceduto da altri tre “Canti”. Studi seri dicono che tutti, dal primo al quarto, sono un racconto unico che, al di là delle varie inserzioni redazionali, sviluppano un’unica tematica: il servizio di un profeta per la crescita e la riforma del popolo. Egli è per la parola, per il diritto e la giustizia per dare allo sfiduciato un messaggio di speranza, per smascherare le menzogne e via dicendo. Il suo ministero sarà coronato da successo? In nostro “Quarto Canto” indica che la vicenda di questo profeta si è conclusa con la morte. Perciò la situazione basilare è quella di “scandalo” per la morte del profeta innocente.
L’accento quindi che dà forma al testo è contenuto nella paradossalità di una sofferenza feconda: l’ouverture anticipa l’incredibile successo del Servo sofferente (52,13-53,1)

Ecco, il mio servo trionferà: s’innalzerà, diventerà grande e si eleverà molto.
Come le folle inorridirono per causa sua, poiché il suo aspetto nulla più aveva di umano, né la sua bellezza di figlio di Adamo, così si meraviglieranno grandi nazioni, e dei re si chiuderanno la bocca, quando avranno visto una cosa inedita, osservato una cosa inaudita.
Chi avrebbe creduto a ciò che abbiamo appreso, e a chi è stato rivelato il braccio di Jhwh?

e la chiusura dell’inclusione ( 53, 11-12) riconferma la tesi della salvezza nel segno contrario:

Il mio servo trionferà… il giusto mio servo giustificherà le folle… gli darò le moltitudini come sua parte di eredità”.

All’inizio e alla fine dunque assistiamo ad una prima azione di smontaggio della teologia tradizionale secondo cui la sofferenza non può essere che un castigo.

“…noi lo consideravamo punito, percosso da Dio e umiliato … il suo sepolcro fu posto fra quello dei miscredenti”.

Nella seconda azione viene smontata la convinzione che il successo sia un segno dell'approvazione divina.
Qui non è assolutamente così: perciò ci troviamo di fronte a qualcosa di inedito e di inaudito tanto da provocare una reazione di silenzio: “I re si tapperanno la bocca.”
Quando cioè le cose andavano bene perché Israele era una realtà significativa dal punto di vista politico, sociale religiose ed economico, il successo era la conferma del favore divino. Solo l’esperienza amara dell’esilio ha aperto gli occhi su questa realtà.

L'attenzione viene portata verso la vita quotidiana, ma il tutto avvolto da solitudine e disprezzo:
È spuntato come un germoglio davanti a lui, come una radice in terra arida… disprezzato e reietto… disprezzato e non stimato da noi
Ad ogni modo, la conclusione è che il Servo e e il vissuto che egli rappresenta è visto come un castigo.
Mentre nei salmi di lamentazione è il soggetto sofferente a prendere la parola per lamentarsi, qui non c’è che il suo silenzio. Egli, del resto, stando al racconto, ha già concluso il suo cammino di vita con la morte.
Questo silenzio che incombe è comunque motivo di nuova riflessione e, piano piano, guardando il “sofferente silenzioso”, proprio grazie a questo silenzio, il nostro atteggiamento cambia.
L’equazione “sofferenza = castigo” è frutto della proiezione sull’altro di ciò che non vogliamo vedere in noi. Insomma, non volendo riconoscere in noi il male e le storture, le scarichiamo su un capro espiatorio. È per questo motivo che il servo “ è reietto”, “non desiderabile alla vista”, perché appunto non vogliamo vedere nell’altro il nostro volto inaccettabile.
Il silenzio del “Servo” fa si che dalla proiezione (=è un castigato) si passi, per così dire, ad una tendenza inversa: la specularità. Accettando su di sé le conseguenze del male e dell’ingiustizia, il “Servo” ci fa da specchio, perciò ci apre gli occhi sulla realtà negativa che s’è annidata dentro di noi. Il suo dolore quindi è stato salutare perché ci ha aperto gli occhi, ci ha condotto al pentimento …”Noi lo ritenevamo … egli invece…”. La sofferenza che deriva dal male e dall'ingiustizia è salvifica, non perché arriva a placare un dio arrabbiato, di cui non si sa il motivo o con chi ce l'abbia veramente, ma è salvifica perché, aprendoci gli occhi sulle nostre storture, offre a noi la possibilità di intraprendere la via della giustizia e della bontà verso gli altri. In fondo, questo è stato il senso della predicazione e delle azioni di Gesù.
Allo stesso modo, noi “pecore” sbandate, ognuno per la sua strada nell’individualismo egoista, lui, invece, agnello mansueto nell’atteggiamento di offrire la vita, mettendosi in gioco fino in fondo. È questo mettersi in gioco “fino in fondo” il motivo stesso dello sbalordimento.
Anche a Gesù, viene posta la stessa domanda, che di fatto è la tentazione che lo accompagna sempre, ora dai discepoli,ora dai capi, ora dalla gente, ora dai ladroni...: “Perché non salvi te stesso?”. Ecco, se qualcuno ci apre gli occhi su questo pensare prima a noi e dopo (un dopo che non viene mai) agli altri, ci accorgeremo che sta qui la radice del soffrire umano, del male, dell'ingiustizia, in una parola, del peccato personale e delle strutture storiche di peccato.
Così, mentre nei salmi e nei testi di lamentazione, alla fine Dio riabilita il giusto di fronte agli ingiusti o all’ingiustizia, qui il “Servo” giunge fino alla morte effettiva.
Non dimentichiamo che il contenuto di questo quarto “Canto del Servo” ha fatto da base per l’autocomprensione della coscienza messianica di Cristo. Il suo modello di riferimento e di identificazione è stato il “Servo sofferente”. Per questo lo meditiamo allo scopo di comprendere meglio il racconto di passione.

L’ultima parte del corpo centrale è una lettura teologica di tutta la vicenda: il suo (quello del “Servo”) non è stato un destino di castigo e nemmeno un incidente di percorso, ma è stato un cammino che appartiene al piano del Signore. Il suo destino è stato un incarico.
“la volontà del Signore si compirà per mezzo suo”.

Qui il testo esprime una profonda verità esistenziale facendo uso di un linguaggio cultuale: “Diede se stesso in espiazione”.

Occorre tenere presente che il senso profondo di queste parole non è diretto, come cioè se Dio esigesse morte e dolore per la salvezza.
Il vero culto non è più quello rituale ma, l’offerta di se stessi, il mettersi totalmente a disposizione entrando fino in fondo ai tunnel del cammino umano. Questo è il vero culto col Dio della salvezza.
La prospettiva al futuro dell’inclusione finale : “vedrà una discendenza…” è un modo per dare enfasi alla nuova intuizione teologica. L’intuizione del paradossale agire di Dio nella storia dell’umanità, ossia la salvezza nel segno contrario: il vincere perdendo, vivere e far vivere offrendosi senza trattenersi, trovare grazia nell'esperienza di male e peccato, conquistare la terra abbandonando il potere della forza e abbracciando la forza del non potere, smascherare l'inganno del “tutto per sé e niente per gli altri” e costruire umanità nel “tutto con gli altri e mai contro gli altri”...
Il “Servo”, compie l’espiazione, non perché trasforma il male in bene. Il male resterà sempre male e non potrà mai confondersi col bene. Ma perché attraversa le situazioni di male facendole diventare occasioni di bene, occasioni per un amore di condivisione più grande.
In effetti, quando le persone compiono le scelte del male, non scelgono il male in se stesso. Spesso si compie il male per cercare un bene o per paura di soffrire nel male stesso. Riscattare il male secondo lo stile del “Servo” significa accettare che il male entri in contatto con me, in un certo senso subirne le conseguenze per condividerle e, dall’interno, manifestare un supplemento di amore tale che aiuti a sconfiggere il male con il bene. È l'amore che rompe il circuito del male altrimenti destinato a moltiplicarsi all'ennesima potenza.
Questo è stato anche il cammino del “Servo” per eccellenza: Gesù di Nazareth.

All'inizio della passione di Gesù, esattamente nel momento della Cena, Gesù dice che il suo sangue sarà “Versato per la remissione dei peccati”. È un tipico esempio di un linguaggio mutuato dalla liturgia del tempio nel giorno dello Yom Kippur. Il sangue di Gesù è la sua vita non trattenuta ma messa completamente a disposizione dell'amore. Rimettere i peccati allora, non significa una cancellazione a colpo di spugna perché il Sommo giudice si sente soddisfatto e gratificato della sofferenza che il Figlio ha subito. Rimettere i peccati o perdono dei peccati, secondo i vangeli significa rimettere in piedi le situazioni schiacciate dal male, significa comprendere che quell'amorevolezza, quella grazia verso l'umanità e verso la storia offre la possibilità di di realizzare lo stesso amore e la stessa bontà che furono in Cristo Gesù.

p.Silvano

Sezano, 8 aprile 2020