Domenica delle Palme 2020 - p.Silvano


Carissimi,
mentre le mie dita si muovono sulla tastiera del computer per far diventare parole i pensieri che si muovono nella mente, una parte del pensiero si trova in fondo al viale, là dove tutti gli anni ci diamo appuntamento per iniziare la Settimana Santa con la processione della Domenica delle Palme. Quest'anno non ci incontreremo, non proveremo la gioia di accoglierci gli uni gli altri e di salutarci mentre la brezza di primavera accarezza i fiori del campo e i nostri volti. Quando potevamo stare vicini non sapevamo quanto forte sia la vicinanza del cuore. Ora che ci manchiamo, sentiamo di essere molto più prossimi di quanto potevamo immaginare. E tutto questo per il semplice fatto che nel Giorno del Signore ci si trovava a condividere il Pane e la Parola nella Santa Mensa, l'Eucaristia. È proprio vero che l'Eucaristia ci fa Chiesa nella profondità del nostro essere insieme, in comunione reciproca.
Prima di partire in processione verso l'aula liturgica ascoltavamo il racconto dell'ingresso di Gesù in Gerusalemme. 
Quest'anno il brano è preso dal vangelo di Matteo.

Mt 21, 1-11
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
 «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”».
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».


A partire da questo momento, il vangelo di Matteo dedica un terzo del suo intero racconto ai giorni di Gesù a Gerusalemme. Non entrerà subito nella passione. Prima ci saranno parole e fatti che rimarcano una tensione crescente di Gesù nei confronti dei leader e, in seguito, concentrerà il suo annuncio intorno alle realtà ultime, vale a dire intorno al senso e al valore ultimo della storia come ad esempio il discorso del cosiddetto “giudizio universale” nel quale si percepisce che il senso e il valore ultimo è fare esperienza del Signore nell'umano fragile e precario: “lo avrete fatto a me”.
Il nostro testo non vuole essere un racconto di cronaca. È piuttosto un intarsio di testi profetici veterotestamentari per introdurre al senso teologico ed esistenziale di ciò che accadrà a Gesù nel corso della passione. 
L'ubicazione – sul monte degli ulivi a Bètfage – di fronte alla città santa, le parole e i gesti richiamano qualcosa di solenne, quasi una processione liturgica. Detto con parole tecniche,  in tutto si percepisce un clima messianico, tanto a dire: l'irruzione di un forte cambiamento atteso o inatteso, legato all'opera di un personaggio o di una comunità o alla situazione. In ogni caso si tratta di una novità liberatoria non dovuta a congiunture particolari ma a una Parola di promessa che Dio ha continuato a fare e portare avanti nel cammino della storia del popolo. 
Per Gesù è il momento in cui tutte le sue prese di posizione, la sua predicazione e le sue scelte precedenti si condensano, giungono a delle conseguenze effettive. Il momento è dunque solenne anche per lui, soprattutto dentro di lui. Egli ora ha piena coscienza di sé come personalità messianica. 
Potremmo dire che quanto avviene  nei suoi , nella gente attorno a lui attraverso questa cerimonia processionale,i gesti e le citazioni profetiche fa da cornice alla sua coscienza messianica, alla consapevolezza cioè di essere all'origine di una tensione di cambiamento.
  Quella camminata dal monte degli ulivi alla Città Santa è una specie flash mob religioso ricordato anche nel salmo 118, 27 durante la Festa delle Capanne che evocava il cammino di liberazione nell'esodo:
“...formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell'altare
          La citazione 
«Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”»
          unisce in uno due testi profetici: 
- Is 62, 11  parla il linguaggio liberatorio del ritorno dall'esilio
- e Zc 9,9-14  parla di un Messia-Re-Liberatore caratterizzato però dall'umiltà e dalla mitezza; insomma, più dalla forza interiore dell'amore per l'umano che non dalla forza del potere. 
E tuttavia, il linguaggio dei segni è tipico di un'intronizzazione regale. Quando il profeta Eliseo unge Ieu come re su Israele viene detto in 2Re 9, 13:
Allora si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: Ieu è re
In altri termini, il ruolo del re consiste nel gestire la vita, in tutte le sue espressioni e relazioni, attraverso il potere. 
        Ma questo nuovo Re – Messia è paradossale perché  svuota il potere del ruolo regale, che per lui è sempre violento e oppressivo, e lo sostituisce con la forza del non potere.
L'alternativa, che nel caso di Gesù si è presentata come una tentazione costante, è molto chiara: o porti avanti le cose dominando sugli altri oppure scegli di stare con gli altri e per gli altri. 
Allora si comprende che l'ingresso in Gerusalemme in groppa a un'asina, può diventare una sferzante ironia nei confronti del potere imperiale (e di ogni potere) fondato sulla capacità di sottomettere gli altri. Il rappresentante del potere imperiale infatti, quale nuovo dominatore, entra nella città conquistata e sottomessa in sella ad un elegante destriero bianco.
La finale di questo brano
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione...
è speculare e parallela alla reazione registrata dopo l'annuncio dei Magi in Mt 2,3: 
All'udire questo, il re Erode fu turbato e con lui, tutta Gerusalemme”.
        Il “non potere” di Gesù, la forza della mitezza, mette in crisi quel potere che appare sì forte, ma  per stare in piedi, deve organizzarsi in sistema di violenza e oppressione. Naturalmente, questo stile “messianico” che Gesù porta con sé in groppa ad un/a asino/a non giudica solamente i poteri costituiti nelle forme politiche, statuali o istituzionali. È un sistema di peccato che possiamo sperimentare anche nel nostro personale modo di essere e di vivere le relazioni a qualsiasi livello.
L'attacco al sistema è così iniziato. Qui sta la radice del conflitto che lo porterà a morire, ma la sua morte non è un incidente di percorso, è il frutto della  dedizione e fedeltà alla sua vocazione di Re Messia non violento. 
Gesù non ha scelto liberamente di morire, ha scelto liberamente la via dell'amore  e ha rifiutato la via ingiusta del dominio, pur  nella consapevolezza che ciò l'avrebbe condotto a subire la morte. Nemmeno il Padre ha voluto la morte di Gesù, ha voluto per lui e per tutti quelli che vivono in lui, la via della giustizia che è quella di interrompere, con l'amore, la misericordia, il perdono e il bene, il circuito del male che generativo di male, di morte e di violenza in modo esponenziale. Da questo punto di vista, e a mio parere solo da questo, possiamo parlare di morte salvifica. 
Alla sua luce possiamo interpretare altre vicende di morti come salvifiche. Penso, ad esempio, a Mons. Romero. Mentre sto scrivendo questi pensieri, siamo sul finire del 4 aprile, nello stesso giorno del 1968, a Memphis veniva assassinato Martin Luther King; anche lui discepolo di Gesù, ministro di una Chiesa Riformata, apostolo e dedicato alla causa dei diritti umani e della non violenza(= Amore), quindi anche lui dentro una passione, anche lui seguito dalle folle in grandi manifestazioni, abbandonato, assassinato. Consapevole del rischio di morire, ha scelto la fedeltà alla sua strada. Non ha scelto la morte, ma la sua morte può essere considerata in un certo senso morte salvifica. 
Da questa prospettiva possiamo entrare nel racconto della passione.
Nei prossimi giorni cercherò di comunicarvi qualche pensiero su quel racconto.
Vi auguro ogni bene. Un caro saluto fraterno 
p. Silvano