Meditazione Domenica XXXIVa

  


Ricordiamo davanti a te, o Signore


Mozambico: la notizia del terribile attacco jihadista avrebbe portato la scorsa settimana alla decapitazione di cinquanta persone.

Il conflitto iniziato il 4 novembre nel nord dell’Etiopia ha ucciso centinaia di persone provocando la fuga di 33mila civili in Sudan

In Uganda 3 persone sono morte e almeno 45 sono rimaste ferite durante le proteste scoppiate dopo l’arrestato del candidato presidenziale dell’opposizione

Le autorità egiziane hanno arrestato un altro dirigente della ong “Iniziativa egiziana per i diritti della persona”, organizzazione impegnata nella promozione dei diritti umani.

Centinaia di manifestanti, per lo più donne, sono tornati in piazza in Malawi per chiedere pene più severe per lo stupro.

Uragano Iota lascia 44 morti in America Centrale: 21 vittime in Nicaragua, 14 in Honduras, cinque in Guatemala.

Palestinesi condannano decisione del dipartimento di Stato Usa sulle nuove etichette 'Made in Israel' per i prodotti degli insediamenti ebraici in Cisgiordania.

   Signore, abbi cura di noi: Kyrie eleison...


Aiutaci a custodire la speranza


Australia: l’arcidiocesi di Brisbane, ha lanciato uno speciale Piano di azione per la riconciliazione con le popolazioni aborigene in Australia, vittime di espropriazioni, deportazioni, violenze

Si rinnova, forte e accorato, l’appello dei vescovi americani contro la pena di morte.

Inaugurato a Roma, sulla via Palmiro Togliatti, un nuovo Centro dedicato al sostegno e all'ascolto dei minori. L'opera è stata realizzata dall'Istituto di Medicina Solidale con il sostegno dell'Elemosineria Apostolica.

Al via ad Assisi in modalità on-line “The Economy of Francesco”, l’appuntamento voluto dal Papa cui prendono parte numerosi giovani imprenditori

Grazie a varie organizzazioni della flotta umanitaria insieme a un gruppo di giuristi ed esperti, nasce il Comitato per il diritto al soccorso.

Per la bontà che abita nel cuore umano e per coloro che si mettono a disposizione del bene, a te la lode e la gloria, o Signore: Gloria in excelsis Deo


Signore Dio, Il tuo Soffio ci inondi di tenerezza e di misericordia. Fa che lottiamo perché l'umano vinca sul disumano. Aiutaci a prenderci cura delle donne e degli uomini che incontriamo sulla nostra strada perché rinasca ogni giorno un'umanità nuova. Amen


Ez 34, 11-12. 15-17 1 Cor 15, 20-26.28

Mt. 25, 31-46

31 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli,

si siederà sul trono della sua gloria.

32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.

34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra:

Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.

35 Perché

io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,

ho avuto sete e mi avete dato da bere;

ero forestiero e mi avete ospitato,

36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato,

carcerato e siete venuti a trovarmi.

37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?

40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me.

41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra:

Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.

42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare;

ho avuto sete e non mi avete dato da bere;

43 ero forestiero e non mi avete ospitato,

nudo e non mi avete vestito,

malato e in carcere e non mi avete visitato.

44 Anch’essi allora risponderanno:

Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?

45 Ma egli risponderà:

In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me.

46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.



Salmo 22

Il Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.

Su pascoli erbosi mi fa riposare.

Ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,

mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.

Davanti a me tu prepari una mensa

sotto gli occhi dei miei nemici.

Ungi di olio il mio capo;

il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne

tutti i giorni della mia vita,

abiterò ancora nella casa del Signore

per lunghi giorni.

***


Questo discorso di Gesù è una parabola, vale a dire di una drammatizzazione. Attraverso questo scenario, Gesù vuole mettere in evidenza la verità fondamentale dell’essere discepoli suoi. Quindi, per giungere al cuore della verità, egli “mette in scena” un’istruttoria che ha come suo proprio scopo quello di appurare la verità, come del resto accade in tutti i dibattimenti processuali. Ecco, la drammatizzazione parabolica trova qui, nell’ambito forense, il suo ambiente adatto. Questo modo di dire, legato all’immagine di un processo con relativa sentenza di assoluzione o di condanna, è tipico della tradizione profetica a cui Gesù attinge. Quasi tutti i profeti, nel loro ministero, danno messaggi di esortazione, di minaccia o di salvezza attraverso lo schema narrativo del processo o della lite chiamato rib.

Il processo ha quindi inizio secondo i canoni classici di ogni celebrazione giudiziaria: convocazione dei testimoni (tutte le genti) e proclamazione dello scopo del processo, vale a dire separare la verità dalla non verità (resa qui nell’espressione di “porre le pecore alla destra e i capri alla sinistra”). Dopo i preliminari, è la volta di coloro che sono parte in causa.

Da notare che nello scopo della celebrazione di questo processo, ovvero lo stabilire la verità delle cose, cioè il senso e le conseguenze dell’essere discepoli/e del Signore, si fa cenno all’atto del separare in termini non esclusivamente giudiziari ma pastorali, come, appunto, fa il pastore quando separa le pecore dai capri. Il riferimento è ad Ez. 34, 15-17. (prima lettura)

Sarò io a condurre al pascolo le mie pecore e a radunarle, oracolo di Dio, mio Signore. Quella che s’è perduta andrò a cercare, quella che s’è allontanata la farò tornare, quella che s’è fratturata la fascerò, quella ammalata la farò ristabilire; veglierò sulla grassa e sulla robusta! Le pascolerò come si deve. Quanto a voi mie pecore, così dice Dio, mio Signore: Badate! Giudicherò pecora e pecora, tra montoni e capre”.

La separazione che compie il pastore corrisponde ad un prendersi cura; quasi a sottrarre le pecore dalla cupidigia degli avidi pastori. Il giudizio quindi che sta per essere celebrato è un momento in cui ai poveri, agli oppressi viene resa giustizia. Da sempre, secondo la migliore tradizione profetica, Dio è direttamente coinvolto nella causa dei miseri.

Tutti gli elementi del racconto vanno a comporre una precisa composizione scenografica. Nella prima parte, cioè nell’esposizione dell’istruttoria, il discorso è solenne; è strutturato secondo lo stile del parallelismo antitetico, rappresentato dalle categorie di quelli che stanno alla destra e da quelli che stanno alla sinistra.

Tutto converge verso una duplice conclusione: lo avete fatto a me o non lo avete fatto a me. Da ciò ne deriva una duplice sentenza espressa nel chiasmo “E se ne andranno, questi, al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.

La drammatizzazione ha quindi fatto emergere il punto verso cui si scarica la tensione del racconto: lo avete fatto a me. Il resto, cioè la sentenza del “supplizio eterno o della vita eterna”, fa parte degli elementi drammaturgici la cui funzione è conferire pathos al racconto.

L’avete fatto a me o non l’avete fatto a me”. A me chi? Uno solo dei più piccoliL’uno solo dei più piccoli è quindi il luogotenente del re ora seduto in veste di giudice.

Alla luce di ciò, il racconto che segue, ossia il racconto della passione e morte, contiene un’ironia sconcertante. In un baleno, il trono del re si trasforma in una mangiatoia e in una croce. L’una contiene l’altra perché entrambe sono dimora dei piccoli, degli schiacciati.

I piccoli sono lui! Il giudizio sulla verità delle cose è, secondo il Regno di Dio, prerogativa dei piccoli e degli impoveriti della terra, non le segreterie dei partiti o le riunioni dei G8 o G20 che dir si voglia.

Per vedere veramente come stanno le cose occorre entrare in contatto con coloro che qui sono rappresentati in sei categorie di persone ripetuti due volte (6+6=12) sono la totalità.

La totalità dei suoi in cui si identifica perché ha scelto di condividerne le sorti, sono lui! Lui è i piccoli, fino all’ultimo, fino ad uno solo dei più piccoli, degli schiacciati.

Evocando il testo che precede questo brano, la parabola dei talenti, possiamo dire che lui è anche il talento consegnatoci. Gesù Cristo, che nella lapidaria conclusione di questa parabola, “ogni volta che …lo avete fatto a me”, ci spiega con molto realismo cosa significhi trafficare il “talento”: farsi carico, come lui, e schierarsi dalla parte dei piccoli.

Infine, per non soffermarci erroneamente alla dimensione del giudizio lapidario che separa in modo netto i soggetti di due modi di agire differenti, occorre riconoscere che, se così fosse, il Giudice si troverebbe nei guai, perché nessuno di noi è completamente tra quelli che si trovano sulla sinistra del giudice o completamente tra quelli che si trovano alla destra. Tutti ci troviamo un po’ pecore e un po’ capri perché nel concreto dei nostri rapporti siamo sia ospitali, sia escludenti al tempo stesso. Perciò abbiamo bisogno di purificazione grazie all’azione di quel grande Pastore buono che si prende cura di ognuno. E dentro di noi fa emergere la bontà separandola dalla tendenza alla chiusura e all’egoismo.

Tutti siamo anche piccoli e poveri, bisognosi gli uni degli altri. Far fruttificare il talento significa aprirci alla condivisione dei nostri doni e delle nostre ferite come ha fatto il Signore.